Vale la pena ricordare l’8 marzo? Siamo sicuri che le iniziative messe in campo, un po’ dovunque, siano utili alle donne? Ma soprattutto siano utili agli uomini? A vedere quanto accade, la barbarie dei femminicidi che quotidianamente avvengono nel nostro Paese, a come si accendono e spengono, con altrettanta velocità, i riflettori su questi omicidi, sembrerebbe proprio che questa festa, che dovrebbe aiutare a sensibilizzare e a migliorarci, non serva quasi a nulla.
Soprattutto se in concreto, invece di aiutare le donne in difficoltà, qualche comune poco attento decide di chiudere i centri antiviolenza, se le buone pratiche del rispetto e della convivenza civile sono soppiantate da azioni e comportamenti volgari, indecenti.
Soprattutto se non cominciamo già dalle famiglie ad insegnare il rispetto reciproco, la gentilezza, l’educazione, direi, e se queste buone pratiche non vengono aiutate anche nei percorsi scolastici, tutto diventa difficile.
Soprattutto se ancora nei luoghi di lavoro esistono pratiche sessiste, già a partire dalla differenza di retribuzioni tra gli uomini e le donne, dalla possibilità di carriera, più facile per gli uomini.
Va cambiato il paradigma, vanno annullate le differenze. Certo che serve festeggiare l’8 marzo.
Perché l’8 marzo dovrebbe essere, sempre, una ricorrenza per riflettere sulle condizioni umane, esistenziali delle donne che, in altri Paesi, non hanno le stesse opportunità. Invece oggi si sciopera, oggi si manifesta, oggi ci si interroga perché in Italia l’8 marzo del 2024 si debbano registrare già 20 femminicidi, 120 nel 2023.
Senza contare la lista delle donne maltrattate, picchiate, vessate da mariti violenti, da colleghi e datori di lavoro frustrati.
L’8 marzo nasce come lotta operaia, delle donne che vogliono migliorare le loro condizioni lavorative, salariali ed umane. 116 anni e nell’Italia opulenta, industrializzata, emancipata, ancora non ci siamo.
Certo non contribuisce, anche, ascoltare alcuni commenti da parte di politici sui diritti delle donne, verso i quali non possiamo che sobbalzare dalle sedie, pensando di aver viaggiato in una macchina del tempo e di ritrovarci 200 anni indietro. O le posizioni di alcune associazioni, più vicine a Torquemada nello spazio e nel tempo, che nella società attuale.
Proprio per questi motivi, l’8 marzo è la festa che noi uomini dovremmo per primi festeggiare, per ricordarci e ricordare a tutti che non esiste il sesso forte e il sesso debole, che un essere umano non debba sottostare o avere sudditanza di un altro, che non esiste violenza per amore, che non esiste il possesso per la gelosia, o il diritto di proprietà sull’altro.
Esiste il rispetto, l’amore reciproco, il sostegno, il bisogno di supportarsi e anche di sopportarsi, di fare scelte e percorsi condivisi, di vivere liberamente la propria esistenza, la propria sessualità, la propria vita.
Buon 8 marzo!