La mostra, allestita tra i ruderi della chiesa settecentesca, in origine affidata alla Congregazione della Coroncina, si fa portatrice della storia, delle vicissitudini, delle distruzioni, che hanno imperversato nel tempo sull’edificio, sia umane – i bombardamenti dell’ultima guerra-, sia naturali – un temporale nel 1969 e un incendio nel 1976.
Il recupero qui attuato, specificamente all’insegna dell’arte, strumento eminentemente salvifico per l’uomo odierno, ritengo possa apportare un contributo diverso, ti tipo simbolico, di rilettura, riscoperta, riconoscimento, riesumazione delle stratificazioni di un vissuto, di cui le pietre rimaste sono testimonianza.
Il luogo è estremamente evocativo, carico di vibrazioni, e quei ruderi, quelle rimanenze, diventano reliquie e come tali si riattivano, grazie ai “catalizzatori opere d’arte”, che in tale luogo, rivivendo, rivelano dimensioni stratificate nel tempo.
Lo sfondamento della volta apre realisticamente al Cielo, non più con l’illusorio trompe l’oeil dei cieli seicenteschi abitati da angeli e santi, ma con una minacciosa aria plumbea da inquinamento, con ciò stesso mettendo l’uomo di fronte alle sue responsabilità.
A terra il pavimento divelto ha lasciato emergere le erbe, testimonianza della forza rinnovatrice e riemergente della Natura, di contro alla furia distruttiva, da parte dell’uomo, della sua stessa actio. Dunque tra Terra e Cielo, l’uomo, sospeso, fragile, privo ormai di punti di riferimento, attraverso l’arte può ritrovare strumenti di rammemorazione, di riflessione, di riconoscimento del sé, per un nuovo percorso di riorientamento. L’opera d’arte si fa luogo, essa stessa, d’incontro ideale, trait d’union tra l’individuale e l’universale.
L’uomo, in quanto riconosce il sé nel Tutto attraverso l’opera d’arte, attiva tale presa di coscienza, di tipo non razionale, ma intuitivo ed emotivo.
Le pareti perimetrali creano un dotto privilegiato di collegamento Terra/Cielo, in cui l’uomo diventa fulcro centripeto prima, e centrifugo poi, di vibrazioni, di forze rimosse dell’inconscio collettivo. Ed ecco allora che l’opera d’arte si fa luogo della memoria, di un vissuto ritrovato, per quanto modificato, ristrutturato, frammentato e precario, perché quel ritrovato, parzialmente ricostruito, è destinato a perdersi nuovamente, lasciando tuttavia un segno, una traccia, un punto di leva per un “incontro” successivo.
Le opere d’arte realizzate dagli artisti con espressioni tecnico-artistiche di tipo plastico, figurativo, o con installazioni site specific hanno saputo cogliere il tilt, la discresia del triangolo Uomo/Terra/Cielo, triade non più in armonia. L’uomo antropometrico ha perso il senso della misura, diventando pericolosamente antropofago e antropocratico.
L’arte potrà prospettare percorsi inediti di riarmonizzazione e riconciliazione dei binomi uomo-Natura, uomo-Ambiente costruito, uomo-Terra, uomo-Cielo, uomo-uomo.
Le opere d’arte diventeranno, allora, “porte regali” capaci di aprire varchi spazio-temporali tra Cielo e Terra, per la ricostruzione, attraverso l’attivazione di circuiti virtuosi infiniti, di un nuovo Cosmo e di una nuova Cosmogonia, sospesi in uno spazio ineffabile, tra la matericità della Terra umanamente delimitata e la spiritualità infinita del Cielo; sospesi, ancora, tra passato e futuro, nel tempo senza tempo della contemplazione, per arrivare ad una nuova antropometria, in armonia con gli elementi della Natura, dell’Umanità, del sé, finalmente ritrovati.