La questione ambientale, il cambiamento climatico, l’innalzamento delle temperature, l’avanzare della siccità, la penuria d’acqua, non sono invenzioni giornalistiche o di qualche ambientalista radical chic. Sono ormai temi di attualità che devono per forza interessare oltre che la collettività anche la politica che su questo tema dovrebbe legiferare e non essere timida o accondiscendente alla multinazionale di turno.
Quanto sta accadendo ai Castelli Romani con il taglio dei boschi cedui, quasi sempre con l’unico criterio per il comune di turno di fare cassa, non può essere più un sistema da perseguire.
Neanche il Parco dei Castelli, nato da iniziativa popolare, per valorizzare e salvaguardare i 16 mila ettari di pertinenza, riesce ad incidere, proprio perché mancante di una visione attenta e di un vero progetto di valorizzazione ed integrazione.
Su questo tema lo scontro tra le associazioni ambientaliste da un lato, le aziende boschive e i comuni dall’altro è abbastanza sentito.
I boschi dei Castelli sono boschi cedui e come tale, ormai da secoli, sono messi a dirado e taglio per alimentare una economia boschiva che, oggi, forse non è più la stessa di venti anni fa.
La scienza e la tecnologia e i mutamenti climatici, hanno prodotto significativi passi avanti.
Per questo motivo ospitiamo volentieri l’intervento del GUFI, il Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, nato all’indomani del TUFF, il Testo Unico per le Foreste Italiane, voluto dal governo Renzi.
Ne fa parte anche uno dei dottori forestali più importanti del panorama nazionale, Alessandro Bottacci che sul tema del taglio ceduo e della salvaguardia delle foreste ha idee molto chiare.
“L’eredità lasciata da Renzi è quella, oltre al TUFF, di aver chiuso il Corpo Forestale dello Stato, ha rivisto la legge 394 sulle aree protette lasciando la gestione a figure politiche per toglierla ai tecnici e agli scienziati, ma soprattutto ha permesso che si diffondesse un imprinting di utilizzazione errato delle foreste. Oggi servono di fatto per essere tagliate e per creare cippato. Con la complicità di alcuni tecnici compiacenti sono stati così introdotti provvedimenti che, giocando sull’ignoranza e la disinformazione, hanno come unico obiettivo il taglio indiscriminato di alberi e foreste per il profitto di pochi.” Esordisce così Bottacci.
“Parecchi industriali hanno investito le loro risorse in centrali a biomasse, promosse dall’Europa tra le energie rinnovabili anche se inquinanti e poco efficaci, che hanno bisogno di legna per essere alimentate. Le aree protette ne possiedono una quantità maggiore rispetto ai boschi privati che invece vengono tagliati periodicamente. Le Regioni, che ormai regolano la materia forestale, hanno progressivamente modificato le norme rendendole sempre più permissive, aumentando la quantità di ettari da tagliare. Inoltre, se prima bisognava attendere il via libera da parte dei tecnici regionali per l’autorizzazione ai tagli, oggi non serve quasi più. Basta il cosiddetto silenzio assenso“, commenta Bottacci.
Dal suo punto di vista il sistema di distruzione delle foreste è alimentato anche dagli incentivi europei e regionali come il Piano di Sviluppo Rurale, per favorire le attività del mondo rurale, compresa la selvicoltura e il taglio del bosco.
“Il rischio è che tutti questi incentivi siano indirizzati a tagliare i boschi adulti mentre dovremmo investirli per trasformare i boschi cedui in fustaia. Detto in parole più semplici, trasformare un bosco semplice tagliato ripetutamente in un bosco evoluto. L’Europa ci chiede di conservare almeno il 30% della superficie boschiva, potremmo arrivare anche al 50% sospendendo il taglio delle proprietà statali, regionali, della Chiesa e gestendole in modo sostenibile e responsabile“, continua Bottacci.
“Il ceduo è una forma di taglio usata soprattutto per specie come faggi, querce, castagni e carpini che hanno la capacità di riemettere nuovi fusti dalla base del tronco tagliato. In passato, soprattutto in contesti di povertà e quando serviva la legna per scaldarsi, ogni vent’anni circa questi boschi venivano tagliati: era la forma più diffusa ma anche quella più impoverente perché non permette al bosco di evolvere, crescere e diventare resistente e forte.”
“Questa pratica contribuisce anche a scoperchiare il suolo, renderlo eroso e poco fertile. La gran parte dei nostri boschi, originati a suo tempo da tagli cedui, ora ha tra i 60 e gli 80 anni; si tratta quindi di fustaie, la forma di foresta più evoluta con alberi grandi, una struttura più resistente e con maggiore capacità di tutela dell’acqua e della biodiversità degli ecosistemi al proprio interno.”
“I boschi, di fatto, “crescendo” migliorano. Sono una comunità di organismi viventi, composta da presenze – come quelle di licheni, funghi e batteri – che anche se invisibili contribuiscono all’intero funzionamento. L’eliminazione di un albero crea dunque disturbo per tutti gli altri alberi – collegati tra loro da una rete di funghi – e per tutti gli altri organismi. Più è grande un albero e più sono i legami. Non a caso vengono detti “alberi madre”: hanno la funzione di dirigere, indirizzare la struttura del bosco. Lo spiega bene Suzanne Simard, ricercatrice canadese, che ha studiato le reti di micorrize, ovvero la rete dei funghi, che permette questo funzionamento.” aggiunge Bottacci.
“Le foreste non hanno bisogno di essere gestite dall’essere umano, è l’essere umano che ha bisogno di prelevare del materiale per le sue attività. Dobbiamo però distinguere l’utilizzo che ne fa la singola persona locale dal prelievo industriale, che interviene su estensioni molto grandi e senza prestare alcuna attenzione“.
“Spesso si tratta di ditte estranee al territorio con operatori che non sempre lavorano in sicurezza e con un contratto regolare. In generale, quando si parla di foreste e tagli bisogna guardare anche al motivo per cui vengono compiuti. In Amazzonia o nel sud-est asiatico, ad esempio, avviene prevalentemente per creare nuove aree agricole. Le foreste dell’est Europa forniscono materiale di alto valore, mentre le nostre vengono usate per ricavare legna da ardere, cippato e pellet“, conclude Bottacci.
Per il GUFI quindi l’idea del futuro forestale dell’Italia è quella di un Paese in cui i boschi possano tornare a occupare gran parte dello spazio che è stato sottratto loro dall’essere umano, ripopolando le aree attualmente marginali e improduttive e andando a costituire ampie cinture verdi intorno alle città, mantenendo un approvvigionamento di legna per le istanze locali o per altre necessità vitali gestite correttamente.
di Salvina Elisa Cutuli