Durante il processo Tritone, che ha visto coinvolto il carabiniere Rillo Elia, l’avvocato Marco Fagiolo ha espresso alcune considerazioni riguardo alla sentenza e alle sue implicazioni.
“Dobbiamo ancora decidere se fare ricorso in appello,” spiega l’avvocato Fagiolo. “L’importante è che sia stato assorbito il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e che siano state rimosse le aggravanti legate all’agevolazione mafiosa. Quei due episodi per i quali è stato condannato li abbiamo già giustificati e li giustificheremo ulteriormente.”
La condanna, come precisa il legale, si basa sul favoreggiamento: “Si tratta di favoreggiamento di un confidente, ma senza che questo abbia comportato l’agevolazione dell’associazione mafiosa né una partecipazione esterna alla stessa.”
Un’indagine lunga e le ripercussioni politiche
Il processo Tritone rappresenta una pagina delicata per il territorio: “È stata un’indagine lunga, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DTA), che ha avuto conseguenze significative a livello politico e amministrativo, ma non penalmente rilevanti,” osserva Fagiolo.
L’avvocato sottolinea come i politici coinvolti non abbiano subito implicazioni penali: “Non mi sembra che siano stati coinvolti più di tanto. Tuttavia, sono stati interdetti e non potranno candidarsi per i prossimi due mandati. Ma si tratta di questioni amministrative, non penali.”
Prevenire fenomeni simili: un problema senza soluzione facile
Alla domanda su quali siano gli strumenti per evitare fenomeni di criminalità organizzata sul territorio, Fagiolo risponde con pragmatismo: “Non esistono anticorpi. Quali sono gli anticorpi per non commettere i furti? Non esistono. Non c’è una cura definitiva, non è come il Covid, dove c’è un vaccino che ci ha salvati. Questo tipo di problemi non si risolvono così facilmente.”
Il legale si sofferma anche sul contesto sociale e familiare: “Questa è una famiglia calabrese che si è spostata a causa di vicende dolorose legate alla criminalità, tra cui omicidi di un fratello, un padre e un cugino. Spesso, quando mandano queste persone al confino in altre regioni, come la Lombardia, il fenomeno si propaga.”