La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Procura generale della Corte d’Appello di Roma, annullando le assoluzioni pronunciate nei confronti di Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, della moglie Anna Maria e del figlio Marco, accusati dell’omicidio di Serena Mollicone. Dopo 24 anni dal tragico evento, il caso torna in aula con un nuovo processo di secondo grado.
La decisione della Cassazione e la richiesta di giustizia
“Confidiamo nella giustizia per mia sorella e mio padre, che non rivedrò più in questa vita. Vogliamo la verità, sono 24 anni che aspettiamo”, ha dichiarato Consuelo Mollicone, sorella di Serena, subito dopo la decisione della Suprema Corte.
L’udienza davanti ai giudici della Cassazione ha visto la presenza degli avvocati difensori della famiglia Mottola, Francesco Germani, Piergiorgio Di Giuseppe e Mauro Marsella, e delle parti civili, tra cui Anthony Iafrate, legale di Consuelo Mollicone, e Dario Romano De Santis, difensore dello zio di Serena, Antonio Mollicone. Presenti anche gli avvocati Elisa Castellucci per Maria Tuzi, moglie del carabiniere Santino Tuzi, e Antonio Radice per il Comune di Arce.

L’iter giudiziario: assoluzioni e ricorsi
La famiglia Mottola era stata assolta in primo grado nel luglio 2022 dalla Corte d’Assise di Cassino, con una sentenza confermata poi in appello nel luglio 2024. I sostituti procuratori generali Francesco Piantoni e Deborah Landolfi avevano chiesto condanne a 24 anni per Franco Mottola, a 22 anni per il figlio Marco e la moglie Anna Maria. Per il carabiniere Francesco Suprano erano stati chiesti quattro anni, mentre Vincenzo Quatrale era stato assolto.
La sentenza d’appello aveva sollevato polemiche, anche per la condanna delle parti civili al pagamento delle spese processuali. Tuttavia, la Procura Generale e il Ministero della Difesa hanno presentato ricorso in Cassazione, ottenendo l’annullamento della decisione.
Il caso Serena Mollicone: una vicenda lunga 24 anni
Serena Mollicone scomparve il 1° giugno 2001. Quella mattina uscì di casa per recarsi all’ospedale di Sora, ma di lei non si ebbero più notizie. Il suo corpo fu ritrovato due giorni dopo, il 3 giugno, nel bosco di Fonte Cupa, in località Anitrella. Aveva mani e piedi legati, la bocca coperta con del nastro adesivo e un sacchetto in testa. L’autopsia rivelò che la causa della morte era l’asfissia, mentre una ferita sulla fronte suggeriva un colpo subito prima del decesso.
L’accusa: un omicidio avvenuto in caserma
Le indagini hanno attraversato diverse fasi, con piste investigative che hanno portato a numerosi sospettati, tra cui il carrozziere Carmine Belli, poi prosciolto. Una svolta si ebbe con le dichiarazioni del brigadiere Santino Tuzi, che riferì di aver visto Serena entrare nella caserma di Arce la mattina del 1° giugno 2001, senza però vederla uscire. Tuzi si tolse la vita nel 2008, pochi giorni dopo aver rilasciato la sua testimonianza.
Nel 2019 la Procura di Cassino chiuse le indagini, sostenendo che Serena fosse stata uccisa all’interno della caserma dei carabinieri. Gli accertamenti del RIS indicarono la compatibilità tra le tracce di legno, colla e resina ritrovate sulla testa della vittima e una porta appartenente all’abitazione dei Mottola, ritenuta l’arma del delitto.
La battaglia per la verità continua
L’avvocato Anthony Iafrate, legale della famiglia Mollicone, ha ribadito che “ci sono state persone in paese che hanno assistito a diverse cose e non hanno parlato, hanno taciuto o ritrattato. Si poteva arrivare prima alla verità”.
Anche la procuratrice generale di Cassazione, Assunta Cocomello, ha sottolineato le criticità delle precedenti sentenze, parlando di “plurime violazioni di legge e norme processuali”, nonché di una “mancanza di motivazione su molteplici aspetti sollecitati dalle parti civili e dal pubblico ministero”.
Con la decisione della Cassazione, il caso Mollicone torna in tribunale, riaccendendo la speranza di giustizia per la famiglia della giovane vittima. Il nuovo processo di appello sarà cruciale per fare luce su una vicenda che, dopo oltre due decenni, resta ancora un giallo irrisolto.