di Adele Avella
La lontana data dell’8 Marzo 1908, non appare poi così lontana. La lotta operaia di circa un secolo fa, si è trasformata in una battaglia solo apparentemente diversa, i diritti delle donne sono di fatto ancora oggi, oggetto di manifestazioni e proteste internazionali.
La festa ufficializzata nel 1977 dalle Nazioni Unite, malgrado il suo intento iniziale, ha nel tempo cristallizzato una discriminazione sociale e linguistica che si trova sempre alla base di una cultura di disparità di genere difficile da debellare.
Dare voce alle differenze
E forse a suffragio di tale contraddizione, l’8 Marzo è una data molto spesso utilizzata per dare voce alle differenze, per urlare un disagio intragenerazionale che appare ancora lontano dalla sua effettiva evaporazione. Un giorno per lottare contro la violenza sulle donne (siamo a 20 femminicidi dall’inizio dell’anno), un momento per testimoniare come il lavoro e la cura della famiglia sia ancora quasi totalmente a carico delle donne (si stima sia intorno al 70%), un unico coro per ricordare come posizioni lavorative di vertice siano ancora appannaggio maschile (la percentuale di donne CEO in Italia è solo il 3%).
Per questi e altri motivi, l’8 Marzo è il giorno della Lotta, e della protesta contro la violenza patriarcale in tutte le sue forme. È il giorno dedicato allo sciopero di tutte le donne, indetto dai principali sindacati in varie città d’Italia.
La posizione dell’associazione “Non una di meno”
“Dopo l’enorme manifestazione del 25 novembre” – dichiara l’associazione “Non una di meno” nell’appello del 24 Febbraio scorso – “scioperare l’8 Marzo significa trasformare la potenza del 25N in blocco della produzione e della riproduzione, attraverso i luoghi dove la violenza si esercita ogni giorno: nelle case, e sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei supermercati e nelle piazze, in ogni ambito della società. Perché se ci fermiamo noi si ferma il mondo!
Vogliamo opporci al governo – prosegue il comunicato – che tratta la violenza maschile sulle donne e di genere come problema securitario. L’irrigidimento del Codice Rosso è un’operazione che ripropone un approccio emergenziale e punitivo senza agire sullo scardinamento dei meccanismi che riproducono la società patriarcale. Scioperare l’8 Marzo, significa mostrare come l’ascesa delle destre in Italia e a livello globale abbiano reso ancora più dure le politiche familiste, razziste e nazionaliste che alimentano sfruttamento e violenza.
Scioperare contro la guerra
Scioperare contro il patriarcato – chiarisce Non una di meno – significa scioperare contro la guerra come espressione massima della violenza patriarcale, e rifiutare le politiche di guerra che si fanno sempre più pervasive nelle nostre società.
Scioperare contro il patriarcato significa reclamare l’immediato cessate il fuoco su Gaza per fermare il genocidio.”
Pari dignità e pari responsabilità civili
Non, contro, la festa delle donne ma proprio per rivendicare il diritto di esistere con pari dignità e pari responsabilità civili, i maggiori sindacati italiani si uniranno in uno sciopero generale che interesserà tanto i trasporti, quanto le scuole, tanto la sanità quanto le aziende private. Come ricorda la Flc CGIL “i diritti delle donne, l’uguaglianza di genere, l’autodeterminazione, la parità salariale non sono ancora una realtà per tutte, anzi assistiamo, e su larga scala, a un attacco, a una messa in discussione dei diritti che le donne si sono conquistate nel corso degli anni. Ciò è evidente anche nel nostro Paese che è ancora ai primi posti nel mondo per gender pay gap e per incidenza del lavoro povero e precario; per non dire dell’invisibile sfruttamento del lavoro di cura, mai riconosciuto come responsabilità sociale, sempre e ancora scaricato sulle donne. Per questo proclamiamo lo sciopero, perché insieme a tante organizzazioni sindacali in Europa e nel mondo pensiamo che è possibile cambiare le cose”.
Gli appuntamenti sono dislocati su tutto il territorio nazionale, al grido transfemminsta “se le nostre vite non valgono, allora scioperiamo”, ma è anche uno sciopero sociale, ovvero di tutte quelle forme di lavoro non riconosciuto per cui vanno inventate pratiche di visibilizzazione e astensione dal lavoro.
Un unico movimento che unisce le ombre di questo paese e che trova coerenza nelle discriminazioni e nelle evidenti manomissioni della realtà.
Le donne come i precari, le madri come gli operai sfruttati, le ricercatrici come i poveri, categorie senza distinzione di genere che condividono la mancanza di dignità e l’emarginazione sociale e familiare. Un grido contro la violenza fisica e psicologica che include, dal 2015 (anno in cui in argentina venne fondata l’associazione) esattamente “Non una di meno”.