Oggi è un giorno cruciale per Julian Assange, giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks. Alle 11.30, ora italiana, l’Alta Corte di Londra pronuncerà il verdetto sull’appello finale della difesa di Assange contro la sua controversa procedura di estradizione dal Regno Unito agli Stati Uniti.
Dopo due giorni di udienza a febbraio, i giudici hanno impiegato più di un mese per valutare le argomentazioni dei legali di Assange. Questi ultimi hanno sostenuto che il loro cliente è vittima di “una persecuzione contro la legittima attività giornalistica”.
La difesa teme che Assange possa vedersi negati i suoi diritti di fronte alla giustizia americana, con una condanna sproporzionata. Le autorità statunitensi, d’altra parte, sono decise a perseguire chi, a loro avviso, ha superato “i limiti del giornalismo”.
Da difendere è anche un’idea di giornalismo
La sentenza di oggi avrà ripercussioni non solo sul destino personale di Assange, ma anche su una certa idea di informazione e modello antagonista di giornalismo online. Dal 2010, Assange ha divulgato circa 700.000 documenti riservati, autentici e pieni di rivelazioni imbarazzanti, tra cui crimini di guerra commessi in Iraq e Afghanistan.
Se Assange dovesse perdere anche questo appello finale, potrebbe essere estradato negli Stati Uniti nel giro di qualche settimana. Una volta negli Stati Uniti, Assange rischia una pena di 175 anni di reclusione. Secondo quanto affermato da sua moglie Stella, Assange non sopravvivrebbe alle condizioni di detenzione delle prigioni americane.
Lo stato di salute di Assange
Assange è in uno stato di salute sempre più precario dopo quasi cinque anni di detenzione preventiva nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, seguiti da sette anni come rifugiato in una stanza dell’ambasciata dell’Ecuador nella capitale britannica.
Resta da vedere quale sarà l’esito di una proposta di patteggiamento da parte dell’amministrazione Biden per Assange, anticipata dal Wall Street Journal e incentrata su una dichiarazione di colpevolezza per un reato meno grave.