La politica italiana oggi si regge su due pilastri fondamentali: le smorfie dei suoi leader (vedi Matteo Renzi e Giorgia Meloni) e i sondaggi che le segreterie politiche compulsano quotidianamente sin dal primo mattino, come le bevute degli alcolisti.
I programmi e le idee sono superati dalla comunicazione, soprattutto sui social e in TV, un po’ meno sulla stampa che oggi leggono in pochi.
Oltre ai sondaggi del lunedì di Mentana (che poi sono gli stessi del Corriere della Sera), oggi il mitico Pagnoncelli, sondaggista ufficiale dell’establishment nostrano, ci somministra l’ultimo per le Europee, che in verità non presenta molte sorprese, ma citiamo per dovere di cronaca: Fratelli d’Italia 27,5 %; PD 20,5; 5 Stelle 16,1; Forza Italia 8,7 e infine (visto che il resto è fuffa) Lega – udite udite- all’8%. (Il resto fuffa)
Di nuovo, se volete, c’è questo ultimo dato che riguarda Salvini superato, anche di poco, dall’ineffabile Tajani, che nella fantasia di alcuni commentatori nostrani dovrebbe rappresentare il volto ”moderato” di questo governo, mentre in realtà rappresenta il nulla. Se non fosse per la Famiglia Berlusconi.
Certo, il Capitano ne esce un po’ ridimensionato (si fa per dire) se guardiamo al dato delle Politiche del 2018 (17,35) fino al grande risultato delle Europee del 2019 (34,33%). Quando Salvini aveva deciso che la Lega non dovesse più chiamarsi Lega, Lega Nord o Liga Veneta, ma addirittura Lega- Salvini Premier. Un grande partito nazional popolare di destra.
Che lui a fare il premier ci pensava davvero quando (forse inebriato dagli spritz al Papeete) fece saltare il governo giallo/verde con Giuseppe Conte che in seguito, al governo con il PD, si convinse davvero che il grande leader era lui.
Ora, infierire sul Capitano sarebbe oltre che ingiusto anche maramaldesco, perché l’elettorato italiano è talmente fluido che la stessa fine potrebbe fare anche Giorgia Meloni. Né potrebbero bastarle le sue successive mutazioni genetiche che annacquano le sue matrici politiche. E poi, del fascismo e dell’antifascismo gli elettori se ne fregano. Roba da vecchi, meno si nomina meglio è.
Ormai tutta la stampa benpensante e anche parte di quella malpensante di destra, si dà un gran da fare in previsioni per la successione di Matteo, che in verità avrebbero dovuto avvenire subito dopo le ultime elezioni politiche quando la Lega ottenne il 9%.
Se non fosse che la Lega, anche per come è ridotta, rimane un partito leninista dove cambiare il capo è difficile, con il rischio che, post mortem (che non auguriamo mai a Matteo se non altro per le nostre comuni origini lombarde) Egli venga tumulato in un mausoleo della bergamasca, un po’ come Lenin, ancora nella Piazza Rossa.
Ma permettetemi di spezzare una lancia a favore del mio conterraneo.
In primis: vedete qualcuno che lo possa sostituire?
Giorgetti ormai è integrato nel Gotha della finanza internazionale e sarebbe un pazzo a schiodarsi da lì.
Zaia in Veneto ci sta benissimo con tanti voti che sono tutti suoi e certamente non di Salvini. Tanto che a Strasburgo non ci vuole andare, come avrebbe voluto il suo presunto capo per levarselo dalle palle. Lasciandogli invece fra le stesse la grana della sua nomina per il suo terzo mandato.
Fedriga, un po’ come Zaia, sa che al di fuori dell’aria tersa del Carso e la placida pianura friulana, rischia di affogare nella fanghiglia della politica romana, più avvezza a fiutare che a degustare i vini del Collio.
E allora resta lui, magari non il Capitano, ma nemmeno come mozzo. In fondo senza volerlo ha riportato la Lega alle origini del suo consenso elettorale, con il risultato cui l’aveva portata il grande Bossi che riuscì addirittura a disarcionare il Berlusconi nel lontano 1994.
Semmai nelle sorti di Salvini emerge “la contraddizione che non lo consente” (Dante, Inferno opera cit.) Eh sì, perché se l’allegra compagnia del Corriere della Sera insiste perché ritorni alle origini (ma con moderazione e senza federalismo) con quel ceto medio, piccoli produttori, partite IVA ed evasori del Nord, che Giorgia gli ha ormai sfilato, lasciando al capitano un po’ di spazio nel salubre arco subalpino. Che non è l’ombelico d’Italia.
Se poi, e qui sta la contraddizione, ti metti a fare lingua in bocca con tutti gli scappati di casa della destra europea, finisci per fare incazzare anche la Marine Le Pen, che per un po’ ti dà retta e poi un bel ciaone, perché lei pensa a cose più serie: alla Presidenza e al grandeur de la France.
Allora meglio tenersi il Capitano che, per collaudata esperienza, qualche sgambetto a Giorgia lo può sempre fare. Un jolly per altre spericolate maggioranze cui l’Italia è avvezza.