Il nuovo Liceo Made in Italy, introdotto dalla legge 27 dicembre 2023 e pronto a partire nell’anno scolastico 2024/2025, incontra un primo ostacolo sul suo cammino.
La Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato ha espresso diverse perplessità sullo schema di Decreto che dovrebbe regolarne il quadro orario e i risultati di apprendimento.
Il Consiglio di Stato ha rilevato una lacuna procedurale: il Ministero dell’Istruzione e del Merito non avrebbe acquisito il parere preventivo della Conferenza Unificata, passaggio obbligatorio secondo la normativa vigente.
Ulteriori critiche riguardano l’introduzione dell’articolo 9-bis nel nuovo regolamento, che definisce l’assetto del Liceo del Made in Italy.
Il Consiglio di Stato lamenta la mancanza di una chiara spiegazione di tale intervento nella relazione di accompagnamento e solleva dubbi sulla metodologia didattica, chiedendo di rivedere la formulazione relativa al rapporto tra approfondimento e sviluppo di conoscenze e abilità.
Perplessità emergono anche in merito alla Fondazione “Imprese e competenze per il Made in Italy”, incaricata di supportare il potenziamento e l’ampliamento dell’offerta formativa. Il Consiglio di Stato chiede maggiore chiarezza sui significati di “potenziamento” e “ampliamento”, evidenziando una certa confusione terminologica.
Infine, preoccupa l’introduzione dell’insegnamento in lingua straniera (CLIL) nel triennio finale del Liceo del Made in Italy per almeno un terzo del monte ore annuale di una disciplina.
Il Consiglio di Stato sottolinea le difficoltà di attuazione, legate alla necessità di formare adeguatamente i docenti, un aspetto che potrebbe avere ripercussioni economiche non previste e mettere in discussione la dichiarata neutralità finanziaria del regolamento.
Una bocciatura senza appello che di fatto genera un problema soprattutto per gli studenti che avevano credito, molti pochi per la verità, a questo nuovo corso di istruzione che adesso non si che cosa dovranno studiare.
Insomma un vero pasticcio, nel quale, adesso, l’unica cosa che ha funzionato, lo sperpero di soldi pubblici per realizzare questa idea del Made in Italy che dovrebbe sostenere anche l’idea di sovranità alimentare, una sorta di boutade, anche perché cosa rimane di produzione tipica se non solo il vino ed alcuni prodotti sui quali l’intera filiera è tracciata?
Ben poco, perchè, senza andare lontano basti pensare alla porchetta di Ariccia, i quali maiali arrivano da mezza Europa, o i tanto decantati funghi porcini, introvabili in Italia se non per modeste quantità, ma spacciati per prodotto nostrano in sagre e feste, ma proveniente soprattutto dai paesi dell’est europeo.