Proprio mentre i nostri giovani stanno affrontando gli esami di terza media e gli esami di maturità, balzando agli occhi i dati dell’indagine Eurispes sulla povertà educati va in Italia.
Numeri e percentuali che fanno debbono far riflettere su come e quale è l’offerta formativa rivolta ai giovani.
Una offerta formativa che pare non intercettare più i bisogni dei giovani, senza prospettive e che porta sempre di più, in maniera inesorabile i giovani verso l’abbandono scolastico.
Un abbandono scolastico che si trasmette, secondo l’indagine di Eurispes da generazione in generazione, visto che i giovani prendono il brutto esempio degli adulti.
A questa situazione vanno aggiunti programmi non al passo dei tempi, didattica obsoleta, insegnati poco motivati e mal pagati, offerta formativa senza o con pochi sbocchi professionali, questi alcuni dei motivi che spingono i giovani ad abbandonare la scuola e l’istruzione.
Numeri che vanno letti con attenzione e che dovrebbero trovare proprio nelle istituzioni scolastiche un momento di riflessione profonda in grado di rilanciare l’offerta formativa, forte di una politica capace di capire e di interpretare i nuovi bisogni e aspettative dei nostri ragazzi.
Ma oltre a questo va analizzato anche il dato degli adulti, poco edificante al riguardo e anche la scarsa propensione alla lettura e alla comprensione dei testi sta scemando sempre più verso il basso.
E sono proprio gli adulti oggetto dell’indagine a far scattare l’allarme. Bassa scolarizzazione, scarsa propensione alla comprensione dei testi, scarsa propensione alla lettura, condizionamenti socio economici e socio culturali che influenzano negativamente anche chi uno straccio di diploma l’ha preso.
I dati dell’indagine Eurispes sono impietosi.
L’Italia è tra i paesi più poveri d’Europa in termini educativi e tale povertà si trasmette da una generazione all’altra.
Nel 2022, il nostro paese risultava al penultimo posto nella Classifica dei paesi europei, con il 41,7% della popolazione tra i 25 e i 74 anni in possesso di titolo di studio inferiore al diploma.
Inoltre, l’Italia occupa le ultime posizioni (69,7%) per la quota di coloro che superano l’ultimo e il penultimo livello di competenze di lettura e comprensione sui cinque previsti, rispetto alla media Ocse del 54%.
La povertà educativa assume diffusione diversa tra il Mezzogiorno e il resto della penisola, rappresentando uno dei fattori esplicativi delle disuguaglianze individuali nei percorsi formativi e nei risultati di apprendimento.
Da una generazione all’altra, il peso del background familiare, delle disuguaglianze di origine sociale, le differenze nelle pratiche quotidiane, così come i divari nella qualità e nel contenuto delle occupazioni dei genitori alimentano il rischio degli studenti di cadere nella povertà educativa, al di là e temporalmente oltre l’effetto equalizzatore che la scuola tenta di garantire.
La povertà educativa trascende il livello di scolarizzazione delle persone: ad essere poveri dal punto di vista educativo non sono soltanto gli analfabeti e coloro che non hanno completato il ciclo di istruzione obbligatorio, ma anche coloro che possiedono uno scarso livello di competenze in lettura, comprensione, scrittura, calcolo e problem solving.
La diffusione della povertà educativa. Per misurare la diffusione del fenomeno possono essere presi in considerazione alcuni parametri tra cui la quota di popolazione con livelli di istruzione inferiori al diploma di scuola secondaria superiore e la quota di popolazione con bassi livelli nelle competenze di base. Nel 2022, in Italia, il 41,7% della popolazione tra i 25 e i 74 anni risultava in possesso di titolo di studio inferiore al diploma e il 18,5% della laurea.
Dall’indagine PIAAC del 2019, emerge inoltre che il 69,7% degli adulti italiani supera l’ultimo e il penultimo livello di competenze di lettura e comprensione sui cinque previsti, rispetto alla media Ocse del 54%.
Parimenti, la quota di italiani che possiedono competenze matematiche di base al di sotto della soglia minima è superiore al 70%, superata da Cile, Messico e Turchia, tra i paesi Ocse. Circa il 27% non è in grado di svolgere le più elementari operazioni al computer e di processare semplici informazioni in maniera logico-computazionale.
Dai test PISA, emerge che nel 2022, rispetto al 2018, il livello medio di proficiency dei quindicenni è peggiorato in Matematica; è rimasto simile in Lettura; ma è migliorato in Scienze. Il 30% non possiede le competenze per interpretare e riconoscere come una semplice situazione possa essere rappresentata matematicamente. Il 21,4%, non supera il livello minimo in Lettura e comprensione dei testi, pur se inferiore alla media europea (28%) e Ocse (26%).
I divari territoriali. Secondo i dati ISFOL PLUS del 2018, alcune regioni del Nord presentano una situazione simile a quelle del Mezzogiorno: in Puglia, Sardegna e Sicilia così come in Trentino Alto-Adige, Veneto, Piemonte, Val d’Aosta, oltre il 60% della popolazione dai 19 anni in su non ha conseguito il diploma. Nel Lazio invece, il 35% della popolazione tra i 25 i 64 anni risulta laureata e il 28,6% presenta un basso livello di istruzione.
Analogamente l’Emilia-Romagna (32,3% di laureati), ma con una quota di adulti di bassa istruzione superiore (32,2%). Molise, Valle d’Aosta, Lombardia, Toscana, Marche, Veneto, Piemonte e Basilicata, presentano tra il 34% e il 38% di adulti con bassa istruzione, ma differente di laureati, (24% Basilicata, 33% Molise).
Le quote più elevate di adulti con basso livello di istruzione si registrano in Calabria (44%) e Sicilia (48%), ma altresì quote di laureati più basse rispetto al resto del Paese (18% Sicilia, 23,5% Calabria), anche per i flussi migratori verso altre regioni e l’estero.
I dati dell’indagine PIAAC rilevano inoltre che i lavoratori più anziani (50-64 anni), che svolgono con frequenza compiti di scrittura, redazione, analisi, correzione testi e dati nel contesto lavorativo, è largamente inferiore a quella dei giovani lavoratori (19-29 anni).
Aggregando i risultati relativi alla literacy e alla numeracy, si registra una certa omogeneità tra il Centro-Nord e il Sud. Tuttavia, alcune regioni sfuggono alla dicotomia Mezzogiorno-resto del Paese: per quanto riguarda la literacy sul lavoro, Puglia e Basilicata sono al di sopra della media nazionale, mentre l’Emilia Romagna e la Liguria sono leggermente al di sotto.
Nel caso della numeracy, la Puglia si situa al di sopra, mentre la Toscana al di sotto della media nazionale.
I divari territoriali si evidenziano sia nella dispersione scolastica, sia nei bassi livelli di apprendimento. In Sicilia il 18,8% dei residenti tra 18 e 24 anni non è andato oltre la terza media, mentre in Basilicata il 5,3%.
Tuttavia, il Mezzogiorno costituisce il bacino principale della dispersione scolastica, con Sicilia, Puglia e Campania con quote superiori al 14%.
Sui livelli di apprendimento, il Paese si divide in tre gruppi: Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Marche, dove una quota inferiore al 30% degli studenti non raggiunge la fascia di adeguatezza in Italiano. Seguono Trentino Alto Adige, Veneto, Lazio, Molise, Emilia Romagna, Abruzzo e Lombardia con meno del 40% e Calabria, Campania, Sardegna, Sicilia, Liguria, Basilicata e Puglia con oltre il 40%.
L’elevata trasmissibilità. In Italia la povertà educativa tocca soprattutto la popolazione adulta e si riproduce per via intergenerazionale nei ceti più svantaggiati. Le origini socio-culturali ed economiche influenzano gli apprendimenti attraverso le scelte scolastiche, che, a loro volta si riverberano sui risultati di apprendimento.
La povertà educativa è dunque solo in parte attribuibile all’inefficacia dei sistemi d’istruzione.
Le politiche di contrasto alla povertà dovrebbero meglio focalizzarsi sulla povertà educativa, per provare a spezzare le catene della sua trasmissione intergenerazionale. In primo luogo riconoscendo che quella educativa è una povertà “nascosta”, ma che produce danni evidenti in tutte le sfere del sociale.
In secondo luogo, articolando le azioni di prevenzione e contrasto in una pluralità di interventi di lungo termine, configurando un processo continuo e diffuso di apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Spetterà quindi ai nostri giovani ad invertire la rotta e risalire la china. Sarà possibile?