In guerra si chiamerebbe “danno collaterale”. Nella zootecnia industriale una narrazione rassicurante definirebbe le scene atroci che abbiamo visto tutti all’interno degli allevamenti intensivi, “mele marce”. In questo caso si è definito questo orrore una tragedia che soffoca l’agricoltura onesta.
La morte di Satnam Singh, 31 anni, come altri paradossi insostenibili, non è un’anomalia inspiegabile ma la prevedibile conseguenza di un sistema.
“Noi crediamo che sia urgente essere onesti e mettere in discussione il sistema economico che produce sistematicamente schiavitù, sfruttamento e morte, insieme alla narrativa che lo sostiene,” afferma Slow Food nella sua netta presa di posizione. “Si continua a prendere in esame solo un segmento alla volta del complesso meccanismo che costituisce il sistema alimentare globale, di cui facciamo parte: un sistema basato sul profitto a qualsiasi costo, quindi massimizzazione della produzione e del consumo al minor prezzo possibile.”
Nei mesi scorsi il settore primario, in Italia e non solo, ha occupato le prime pagine dei giornali con la vistosità di quella che è stata definita “protesta dei trattori”. Una protesta variegata, che comunque denunciava un disagio reale e concreto del settore, con una radice comune: una politica agricola che per decenni ha guardato al cibo solo come merce nel breve termine dell’orizzonte elettorale.
“Un sistema di potere che prevede spreco, sfruttamento e schiavitù per garantire prezzi finali irrisori delle materie prime,” continua l’associazione. “I dati dell’Ispettorato del Lavoro confermano che i meccanismi di sfruttamento nel settore dettano le regole nell’agricoltura italiana.”
“Prezzi ancora più bassi che vanno incontro alle esigenze dei consumatori. Ma davvero?” si interroga Slow Food. “In effetti i prezzi al consumo per i lavoratori dipendenti, dal 2015 al 2024, sono aumentati del 58,9%, con in primo piano il comparto alimentare.”
“Ed è in questo sistema industrialista che tutela il profitto, che prevede economie di scala e accentramento, che l’azienda agricola deve essere coerente con tale logica e vi rimane incastrata,” denuncia l’associazione. “Si tratta di una struttura di potere che ha ‘bisogno’ dello sfruttamento per mantenere livelli stabili di profitto da un lato, pur assorbendo la fetta più importante dei sussidi europei e italiani per l’agricoltura.”
Slow Food chiude ribadendo il suo impegno nel mettere in luce i paradossi di un sistema alimentare basato sul profitto e che tollera l’iniquità. “Servono impegni concreti sul piano normativo, serve una mobilitazione popolare a fianco dei lavoratori sfruttati, serve una cultura nuova che restituisca valore al cibo e alla vita stessa.”
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