La situazione dell’Ospedale Riuniti di Anzio e Nettuno continua a peggiorare, diventando sempre più un simbolo del collasso della sanità pubblica sul litorale laziale. Mentre i cittadini affrontano ogni giorno code interminabili, reparti chiusi e personale ridotto all’osso, emergono nuovi episodi di cronaca che aumentano la rabbia e la frustrazione della popolazione.
La chiusura del punto nascita: una promessa disattesa
Il problema più discusso resta la chiusura del punto nascita, che ha costretto le future mamme a recarsi fino a Roma per partorire. Una decisione che ha sollevato forti proteste, soprattutto perché i sindaci di Anzio e Nettuno avevano promesso, durante la campagna elettorale, che il reparto sarebbe stato riattivato subito dopo le elezioni. Ma quella promessa è rimasta tale. È ormai evidente che i sindaci probabilmente non abbiano il potere reale per influire sulle scelte sanitarie gestite a livello regionale.
Il punto nascite di Velletri e la delusione della popolazione
La polemica sulla chiusura del punto nascita si è acuita con la riapertura di quello dell’ospedale di Velletri. Nonostante i roboanti annunci, il punto nascite veliterno ha visto nascere solo 30 bambini a due mesi dalla sua apertura, un numero ben al di sotto delle aspettative.

Tragedie e disservizi sanitari: la cronaca nera dell’ospedale
Nel frattempo, la cronaca registra episodi sempre più gravi. Alcuni pazienti sono morti poco dopo essere stati dimessi dal pronto soccorso, in condizioni ancora critiche. È il caso di un uomo che, visitato e mandato via con leggerezza, è morto per infarto poche ore dopo. Altri, come Emiliano, 32 anni, sono morti in isolamento per sospetto Covid, nonostante avessero patologie differenti, senza ricevere le cure adeguate e lasciando le famiglie senza risposte.
Ci sono stati anche casi di diagnosi errate, come quello di Aldo Scione, 64 anni, deceduto dopo una banale caduta a causa di un’emorragia cerebrale non diagnosticata, con due medici finiti sotto accusa per omicidio colposo.
L’esasperazione crescente tra pazienti e familiari
Oltre alla carenza di reparti e personale, cresce il clima di esasperazione tra pazienti e familiari, che ha portato a episodi di aggressioni fisiche nei confronti del personale sanitario. Una dottoressa è stata picchiata da alcuni parenti di un paziente deceduto, mentre un altro episodio ha visto un uomo tentare di strangolare un’infermiera del pronto soccorso, in preda alla disperazione per l’attesa del figlio con gravi difficoltà respiratorie.
Il pronto soccorso: un campo di battaglia quotidiano
Il pronto soccorso, sovraffollato e sotto organico, è diventato un campo di battaglia quotidiano. I medici lavorano con turni massacranti, fino a 24 ore consecutive, spesso senza strumenti diagnostici adeguati, come la risonanza magnetica o la telemetria per il monitoraggio dei pazienti in terapia intensiva.
Alcuni reparti, come ortopedia, otorinolaringoiatria e chirurgia, sono sull’orlo della chiusura, mentre la terapia intensiva promessa da anni non è ancora entrata in funzione.
Le proteste e la richiesta di interventi urgenti
Le proteste dei cittadini si intensificano. Comitati civici organizzano raccolte firme, presidi, lettere aperte e richieste formali alla Regione Lazio per chiedere interventi urgenti. “Non vogliamo più sentire promesse – afferma una rappresentante del comitato civico locale – Vogliamo fatti, vogliamo un ospedale che curi e salvi vite, non un luogo da cui si esce con una bara.”
Ospedale Riuniti di Anzio e Nettuno in agonia e un diritto alla salute in pericolo
L’Ospedale Riuniti di Anzio e Nettuno oggi è diventato lo specchio di un sistema che ha smesso di ascoltare i cittadini. Tra promesse disattese, strutture carenti, tragedie umane e un personale sanitario lasciato solo, la sanità pubblica locale sembra in agonia. E con essa, il diritto alla salute.