Tiene ancora banco la vicenda della centrale a biogas che si vuole realizzare nel territorio di Paliano a meno di 500 metri dalla Selva di Paliano.
Un coro di no da parte dei cittadini e dei comitati, tra cui il Comitato residenti Colleferro, di cui riportiamo l’intervento a seguito dell’incontro pubblico che si è tenuto a Paliano.
Un intervento che entra nel merito delle criticità del progetto, dal mancato rispetto dei limiti, dalla localizzazione del sito, agli accessi, all’impatto ambientale sul territorio, alla vicinanza con le abitazioni, alla pericolosità degli stoccaggi di gas.
Il progetto prevede la costruzione di un impianto di produzione di biometano da materia derivante da scarti agricoli (letame ed altre tipologie di scarti agricoli), redatto da una società privata.
“Tali criticità sono relative al mancato rispetto delle normative urbanistiche e paesaggistiche, ai potenziali impatti ambientali e idrogeologici, alla viabilità ed accessibilità, alle abitazioni e al paesaggio, alla localizzazione e gestione dei materiali e degli scarti, alla progettazione ed ai rischi per la sicurezza e la salute dei residenti.” Afferma la portavoce del Comitato Residenti Colleferro, Ina Camilli
la genesi del Progetto ed i limiti
“Il progetto risale al 2022 ed è stato autorizzato mediante la procedura abilitativa semplificata (PAS), avviata dalla società proponente, che successivamente ha presentato ricorso al TAR del Lazio (Latina), dopo che il Comune di Paliano ha bloccato l’autorizzazione per varie difformità amministrative.”
“Una volta venuti a conoscenza della situazione, come Comitato residenti Colleferro, insieme ad alcuni proprietari di terreni confinanti, siamo intervenuti ad opponendum al TAR del Lazio (Latina), nel ricorso presentato dal Comune.” Prosegue Camilli.
“L’impianto dovrebbe sorgere in località contrada colle Carcavella, denominata Tre Ponti, al km 56,00 di via Casilina, in una zona compresa tra Amasona, Castellaccio e S. Bartolomeo di Anagni. L’ingresso avviene sotto curva, e probabilmente non è autorizzato per una attività, che è simile ad una industria di grandi capacità e non ad un insediamento agricolo.” Aggiunge la portavoce del Comitato.
“Peraltro, parte del terreno non è nella disponibilità della società proponente il progetto che, per la viabilità di accesso all’impianto, ha inserito un secondo varco ed una seconda strada, di proprietà privata di terzi, quindi non utilizzabile.“
“Il progetto è stato ideato e proposto per l’insediamento dell’impianto su un terreno agricolo costituito dall’unione di varie particelle catastali per una superficie lorda complessiva di circa 2 ettari, la cui morfologia e topografia è tale da determinare due zone ben distinte dell’area. Una identificante la parte collinare, con una forte pendenza del suolo, ed una pianeggiante, quella di valle, con separazione delle due da un dirupo di enorme altezza, circa 10 metri di dislivello e da una strada interpoderale.”
“L’area di sedime per questa tipologia di impianti di biometano normalmente è pari ad almeno 4/5 ettari e dovrebbe essere ubicata lontano da centri abitati e/o abitazioni singole e dovrebbe essere preferibilmente pianeggiante, al fine di agevolare le fasi di costruzione e di gestione del sito, anche per ragioni di sicurezza.” Evidenzia il Comitato Residenti Colleferro.
“Quindi, il sito scelto dalla società proponente è inidoneo ad accogliere un processo produttivo di così grande entità e sicuramente, valutando il progetto, esso necessiterà di molto altro terreno limitrofo, arrecando ancor più danno al paesaggio, oltre che agli abitanti della zona, che fino a qualche tempo fa vivevano una vita tranquilla.” Puntualizza Ina Camilli.
“Nel circondario esistono varie abitazioni a distanza ravvicinata dall’impianto, che possono essere fortemente influenzate da possibili cattivi odori, rumori, inquinamento e soprattutto si troverebbero esposte ad una fonte di pericolo, visto l’accumulo di gas entro enormi serbatoi.”
“Nella zona di collina del progetto sono stati inseriti serbatoi di enorme altezza contenenti materia prima e gas, limitando la visuale di alcune abitazioni limitrofe, oltre a rendere pericoloso poter vivere a breve distanza da essi.” Aggiunge ancora Camilli, che continua nel lungo elenco delle criticità riscontrate nel progetto.
Le capacità dell’impianto
“Nella zona di valle del progetto sono previste enormi strutture per il deposito di materia prima e di scarto, con ubicazione accanto al fiume, al fosso ed a ridosso di via Casilina, determinando l’inosservanza del rispetto della normativa, che prevede l’inedificabilità.”
“La materia prima utilizzata, ripetiamo, è il letame, oltre ad altre tipologie di scarti agricoli, per un totale dichiarato per impianti di questo tipo di circa 85.000 tonnellate/anno, determinando una rilevante movimentazione di camion, o similari, con enorme disagio al traffico locale ed al pubblico limitrofo.“
“La materia prima deve essere necessariamente stoccata in loco per essere disponibile immediatamente, anche perché è prevista la miscela di varie tipologie di prodotti; quindi lo stoccaggio deve avvenire entro trincee di enorme estensione, con probabile produzione odorigena.” Aggiunge Camilli che tradotto significa che in tutta la zona circostante è possibile avere uno sgradevolissimo odore.
“La materia prima, inoltre, dovrebbe essere disponibile nelle immediate vicinanze dell’impianto e le zone carenti di allevamenti zootecnici, avicoli, suinicoli, ecc. sono sconsigliate per il loro insediamento, essendo antieconomico trasportare il prodotto da lontano, soprattutto per i materiali leggeri, per non considerare l’inquinamento che producono i TIR, anche se alimentati a gas.” Aggiunge la portavoce del Comitato che introduce la problematica relativa anche ai foraggi utilizzabili per l’impianto.
“I foraggi ed il mais utilizzabili per il processo necessitano di coltivazione intensiva e lavorazioni importanti con macchine agricole che inquinano: ciò significa che gli impianti di biometano di grandi taglia, con tali materie prime, non sono poi così eco green.“
“Il materiale di scarto prodotto da tali impianti è il digestato liquido e solido, che viene predisposto per lo spandimento sul suolo e/o per il riciclo ad altro fine.“
“La produzione di biogas trasformata in gas metano andrebbe immessa nella rete gas pubblica oppure utilizzato in parte all’interno dell’impianto per caldaie o per il cogeneratore per la produzione di calore ed energia elettrica. Alla fine per produrre l’energia da immettere in rete si finirà comunque per inquinare e produrre CO2, poiché il cogeneratore produce fumi di scarico.“
”L’impianto di Paliano, come altri di pari taglia, presenta un impatto visivo e strutturale di importanti dimensioni: i serbatoi sono alti oltre 10 metri e larghi anche 35 metri e ve ne devono essere presenti almeno 4 o 5″. Precisa ancora Ina Camilli.
I rischi
“L’impianto in oggetto, qualora venisse costruito e successivamente finisse chiuso per fallimento economico, potrebbe rimanere disabitato come una cattedrale nel deserto, o peggio, essere riconvertito per trattare materiali da digestare come i rifiuti provenienti da nettezza urbana, anche molto più inquinanti.“
“Si aggiunge che a breve distanza, nei Comuni limitrofi, sono già stati approvati altri impianti similari a questo di Paliano (uno della stessa società proponente), perché il GSE sta incentivando la costruzione di grandi impianti di produzione di biometano da fonte biomassa in ambito agricolo e quindi molti fondi stanno investendo in tali attività.” Fa notare il Comitato Residenti Colleferro.
“Se l’impianto verrà messo in opera il futuro di questo territorio, la strada del vino Cesanese sarà segnato. Paliano non è una città, è un borgo storico, che vive delle sue solide tradizioni e che vanta un’economia agricola, fatta di piccole aziende ed agriturismi, cui si accompagna un turismo enogastronomico e religioso. Anche il Monumento naturale la Selva finirebbe per essere travolto: Regione e Comune dicano se vogliono rilanciarla o affossarla definitivamente.“