582 mila firme raccolta in un mese e mezzo circa. E’ questo il dato reso noto dalla Cgil sulla raccolta di firme contro il Jobs Act di renziana memoria.
Un risultato straordinario frutto della mobilitazione del più grande sindacato italiano che, per contrastare il lavoro precario e i sub appalti ha messo in campo la raccolta di firme per chiedere il referendum abrogativo del Jobs Act.
Quattro i quesiti referendari posti dal sindacato: i primi due sono sui licenziamenti: il primo sul superamento del contratto a tutele crescenti e l’altro sull’indennizzo nelle piccole imprese, previsti dal Jobs act; il terzo sulla reintroduzione delle causali per i contratti a termine.
In questo caso il riferimento legislativo è ad una delega del Jobs act ma anche alla norma introdotta dal governo Meloni che lascia alle parti individuali la possibilità di indicare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva; il quarto è relativo agli appalti, sulla responsabilità del committente sugli infortuni.
Soddisfatto il segretario organizzativo del sindacato di Corso d’Italia. “L’obiettivo del mezzo milione di firme, necessario per deliberare l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge è stato ampiamente raggiunto, a distanza di un solo mese e mezzo dall’inizio della campagna referendaria, avviata il 25 aprile scorso”
Alla iniziativa referendaria hanno aderito anche i segretari del Movimento 5 Stelle Conte e del PD Schlein, di AVS, Fratoianni e Bonelli.
Ampia e partecipata l’adesione dei lavoratori alla raccolta di firme del sindacato, che ha riscontrato notevole interesse da parte dei lavoratori.
Il referendum potrebbe essere indetto dopo l’estate e se la partecipazione sarà massiccia come alla raccolta di firme si potrà mettere la parola fine ad uno degli strumenti legislativi che hanno aiutato la precarizzazione dei rapporti di lavoro, spingendoli verso il baso dal punto di vista salariale e dei diritti acquisiti.
La raccolta di firme comunque andrà avanti anche nelle prossime settimane, hanno fatto sapere dalla Cgil, fino alla concorrenza dei termini previsti dalla legge. Dopodiché spetterà al Parlamento indire la data del referendum.