Passati i giorni degli annunci eclatanti sulla manovra economica, è il momento di analizzare, dati alla mano, i contenuti reali del testo, che comunque è già arrivato Parlamento.
Il capitolo della sanità è uno dei principali temi su cui si è incentrata la propaganda, mettendo in scena una narrazione a dir poco fantasiosa per cui il Governo, nelle vesti di un novello Robin Hood, fosse pronto a tassare banche e assicurazioni per incamerare maggiori risorse da destinare alla sanità, annunciando addirittura che ci sarebbe stato “un sacrificio senza precedenti”.
L’epilogo della storia (almeno nel testo in esame finora) è ben diverso da quello annunciato: la sanità avrà sì un incremento di risorse (2,48 mld nel 2025 e 4 mld nel 2026), ma insufficiente rispetto all’andamento del PIL: la spesa sanitaria in rapporto al PIL peggiora di anno in anno, scendendo al 6,04% nel 2025, al 6,03% nel 2026 e al 5,91% nel 2027.
Per non parlare, poi, del sacrificio inesistente, che si è tradotto alla fine nel congelamento della quota delle deduzioni di banche e assicurazioni: le banche dovranno astenersi dal percepire le deduzioni per gli avviamenti e quelle per la svalutazione dei crediti, spalmandole nei prossimi tre anni. Per le assicurazioni, invece, si tratta di un versamento anticipato delle imposte di bollo sulle polizze vita. Tutto ciò darà vita a un aumento di risorse stimato in 3,5 mld di euro, che però andranno restituiti.
Risorse che, seppur temporanee, risultano del tutto insufficienti a far fronte al progressivo declino della sanità pubblica.
I dati emersi dal Rapporto Bes dell’Istat, del resto, restituiscono un quadro allarmante: nel 2023 hanno rinunciato a curarsi il 7,6% dei cittadini, pari a 4,5 milioni. Di questi 2 milioni lo hanno fatto per motivi economici. A confermare il fatto che la salute sta diventando un bene sempre più elitario sopraggiungono anche i dati relativi alle spese mediche delle famiglie, analizzate dal Caf Acli in base ai modelli 730: rispetto al 2020 i costi per la salute sostenuti dalle famiglie sono aumentati del 13,7%, raggiungendo il 24,7% per le spese specialistiche. Nell’ambito della spesa sanitaria privata è cresciuta del 57% la spesa per le attività specialistiche (lo attesta l’Osservatorio consumi privati in sanità della Sda Bocconi).
Al contempo, dal rapporto, emerge un calo del 3,5% delle spese per il ticket del Servizio Sanitario Nazionale: segnale evidente che si ricorre sempre meno alla sanità pubblica, spesso proprio a causa delle liste di attesa interminabili.
“Basti pensare che, nella virtuosa Lombardia, a Legnano, per una visita oculistica bisogna attendere 677 giorni, o 611 giorni per una visita gastroenterologica ad Asti, quasi a parimerito con i 612 giorni necessari per ottenere una visita endocrinologica a Messina. Si tratta solo dei dati più eclatanti emersi dal nostro report “La salute non può attendere. Monitoraggio nazionale delle liste di attesa”, realizzato con la Fondazione Isscon.” Afferma la Federconsumatori.
Dati che, nel loro complesso, alla luce delle risorse insufficienti destinate in manovra al comparto sanitario e delle misure improduttive adottate per ridurre le liste di attesa, rischiano di minare concretamente il diritto universale alla salute nel nostro Paese, fino a trasformarlo in un diritto a base censitaria.
“È necessario e urgente adottare dei correttivi tesi a incrementare le risorse per potenziare gli organici: i fondi stanziati, infatti, risultano nettamente insufficienti per effettuare le assunzioni di medici e infermieri promesse dal ministro. A peggiorare la situazione vi sono gli scarsi fondi stanziati per l’aggiornamento dei LEA, che potrebbero incrementare il rischio di ritardi nell’esigibilità delle prestazioni, con un effetto controproducente per i cittadini.” Conclude la Federconsumatori.