In occasione della Giornata Internazionale della Donna – il Comune di Velletri ha organizzato l’evento “Donne, Diritti, Difesa – Disparità salariale e violenza economica” in cui sono intervenuti Patrizia Ciccotti, Presidente della Commissione Pari Opportunità e moderatrice dell’evento, il sindaco Ascanio Cascella, la dottoressa Sonia Grassi, Giudice penale del Tribunale di Velletri, il dottor Valerio De Gioia, Consigliere della Corte di Appello di Roma e consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul Femminicidio, e la vicesindaca Chiara Ercoli.
La presenza di figure istituzionali, come quelle della Magistratura e delle Forze dell’Ordine, era sicuramente legata al tema trattato e poteva garantire un buon livello al dibattito previsto.
Ma la parte più interessante della mattinata l’hanno offerta gli spunti di riflessione forniti dai ragazzi e dalle ragazze delle scuole superiori presenti all’iniziativa.

Appunti, pungoli e suggerimenti, che da un lato ci restituiscono dei ragazzi sensibili, impegnati ed informati, dall’altra parte però il parterre istituzionale, un pò meno, mentre invece ci si sarebbe dovuti porre con maggiore attenzione anche alle critiche mosse dai ragazzi.
Giunti così allo spazio dedicato al dibattito, la prima domanda viene posta agli organizzatori da una ragazza dell’istituto alberghiero, che si chiede come mai, durante l’incontro, i relatori avessero più volte ripetuto che le donne “hanno una marcia in più ”.
Le donne non vogliono essere migliori degli uomini, ma solo essere considerate al pari di loro dal punto di vista sociale. A rispondere è stato il dottor De Gioia, il quale, nel tentativo di stemperare la domanda ha ricordato quanto le donne siano molto più forti degli uomini perché costrette a sopportare i dolori del parto; oppure, parlando di quanto le donne siano in grado di resistere a una febbre molto alta, al contrario degli uomini.
Una risposta che ai più ha destato perplessità, tanto che la sala ha cominciato a mormorare e rumoreggiare.

La Presidente Ciccotti ha poi passato la parola a due ragazzi del liceo Ascanio Landi, Clotilde Colaiacomo e Saverio Casini, che hanno toccato un altro punto, ritenuto da loro fondamentale: il Punto d’Ascolto antiviolenza “Marinella”.
Il centro Marinella, aperto nel giugno 2022, risulta ormai chiuso da ben due anni. Attivo due giorni a settimana, il servizio, una volta giunto a scadenza, non è stato più rinnovato.
Rivolgendosi a Chiara Ercoli, assessora alle Pari Opportunità e alla Scuola, i ragazzi hanno chiesto spiegazioni riguardo la chiusura dello sportello, vista la tanto attenzione dei relatori nei confronti della violenza sulle donne durante l’incontro.
La vicesindaca Ercoli, una volta presa la parola, ha provato a sostenere che gli orari del Punto d’Ascolto siano stati persino ampliati – cosa che non sarebbe avvenuta però – e che, inoltre, “ci siano molti altri modi di ricevere ascolto e solidarietà”, citando il 1522, il Numero Anti Violenza e Stalking (un servizio che opera a livello nazionale, e che dunque non riguarda l’amministrazione cittadina n.d.r.);
ha menzionato lo Sportello antiviolenza presso il Tribunale di Velletri, costituito dalla Procura della Repubblica, che, secondo la vicesindaco, costituisce un punto di formazione per le Forze dell’ordine e per gli avvocati per poter gestire casi di violenza di genere.
Una risposta che però non ha soddisfatto gli studenti i quali avevano chiesto un’altra cosa: ovvero perché è stato chiuso il punto d’ascolto Marinella.
Anche perché il vero nocciolo del problema sollevato dai ragazzi non è “che cosa possono fare le Forze dell’Ordine”, ma “che cosa possono fare le donne vittime di violenza”.
Sono numerose, infatti, le testimonianze di donne che, nel momento della denuncia in questura, non vengono ascoltate, né credute e ciò ha portato irrimediabilmente molte di loro a provare diffidenza nei confronti degli uffici pubblici, temendo una possibile umiliazione da parte delle autorità “competenti”.
Quando i due studenti hanno ribadito le loro perplessità sui luoghi di supporto per le donne sul nostro territorio (sottolineando anche la mancanza di una casa di rifugio, che dovrebbe rappresentare una priorità in un comune di 60 mila abitanti), il microfono è stato prontamente sottratto ai due giovani e passato agli avvocati seduti nella prima fila.
Ora appare evidente che se si organizza un dibattito si deve anche saper gestire, o mettere in conto, anche voci dissenzienti, troncare la parola a dei ragazzi non è sembrato essere un buon modo di gestire il confronto.
Il primo avvocato ad intervenire ha sottolineato la presenza di sportelli di ascolto attivi nel tribunale con psicologi e psicologhe. Nel mentre però i due studenti hanno nuovamente posto l’accento sull’esigenza di un punto d’ascolto come luogo intermedio, dove le donne possano confrontarsi e ricevere il supporto delle volontarie per affrontare la propria condizione in un luogo informale, prima di passare per gli uffici del tribunale.
Peccato però che la loro obiezione sia stata ascoltata a malapena dalle prime file, visto che ormai ai ragazzi veniva negata la possibilità di riappropriarsi del microfono.
La seconda professionista ad intervenire, ha invece centrato il suo intervento sulla classe forense presente in Italia che si occupa della violenza di genere, sottolineando come la tutela legale sia obbligatoria da parte degli avvocati penalisti con una consulenza gratuita.
Inoltre, ha aggiunto che non esiste solamente il punto di ascolto come realtà, ma anche avvocati e autorità pubbliche pronti ad accogliere le vittime per dovere professionale.
“I mezzi ci sono, bisogna solamente trovare il coraggio”. Queste le parole pronunciate in risposta alle domande in merito alla chiusura del punto d’ascolto “Marinella”.
Certo bisogna trovare il coraggio, ma per farlo ci sarebbe bisogno di un percorso di aiuto e sostengo per le donne vittime di violenza, per fare maturare la consapevolezza che il passo successivo sia proprio quello di rivolgersi agli sportelli legali, che di fatto per la specificità del ruolo non possono far altro che parlare di codici e di leggi.
Il punto d’ascolto nasce come realtà neutra ed è ben diverso dal centro antiviolenza o dai servizi disposti in tribunale, poiché essi, sebbene assicurino sicuramente delle nobili e doverose iniziative nel contrastare il sempre maggior numero di femminicidi in Italia (8 commessi solamente nei primi due mesi del nuovo anno), necessitano di una consapevolezza maggiore nelle vittime nel riconoscere le violenze subite come tali.
Ora è apparso evidente a tutti la differenza d’approccio di chi oggi amministra la città su questi temi, molto più indirizzati all’applicazione della legge come faro guida, piuttosto che incedere in un percorso di consapevolezza della propria condizione.
E’ abbastanza evidente che in questi luoghi non ci andrebbe nessuno, se non avesse compreso e riconosciuto la propria condizione di vittima.
Un punto di ascolto antiviolenza, invece, grazie all’aiuto delle volontarie presenti, e degli specialisti, nasce con l’intenzione di accompagnare, rassicurare e sostenere le vittime nel proprio percorso individuale, con il fine di riconoscere i maltrattamenti subiti e far acquisire loro quel famoso coraggio nel denunciare i soprusi vissuti, talvolta inconfessabili a familiari e amici più stretti, eppure riferibili ad una volontaria sconosciuta, formata non per giudicare le singole scelte delle donne, ma per indirizzare meticolosamente chi si rivolgerà a loro verso le altre reti di sostegno citate precedentemente da avvocati e relatori, o raccontare una vicenda umana terribile ad uno psicologo che può fornire gli strumenti e le chiavi di lettura alle donne vittime di violenza.
E’ emerso comunque, anche da parte degli studenti una ovvietà: una struttura non esclude l’altra, poiché tutte risultano essenziali per offrire un supporto mirato a delle persone, individui, dotati ognuno di una emotività ed esigenze differenti, tutte degne di ascolto.
Attribuire la decisione di sporgere denuncia al mero parametro del coraggio comporta irrimediabilmente la divisione in due categorie distinte di donne “forti” e “deboli”.
Una società matura e consapevole deve avere l’obiettivo di porre fine alla colpevolizzazione delle vittime, per poter indirizzare le accuse ai carnefici, senza banalizzare gli abusi che quotidianamente le donne subiscono, con ammonimenti alle giovani generazioni, veicolati da battute degne di un cabaret, sul dover riconoscere la “pacca sul sedere” come atto di violenza.
Pertanto, la riapertura di un punto di ascolto antiviolenza rappresenta una missione imprescindibile che non può e non deve tenere conto degli schieramenti politici, per qualsiasi comunità che ambisca ad essere davvero protagonista di un cambiamento sociale radicale nella lotta contro qualsiasi forma di violenza di genere.