La tragica morte dei sette volontari della ONG americana World Central Kitchen abbattuti per errore da un drone israeliano, porta alla luce la situazione apocalittica in cui versa Gaza da ormai cinque mesi. In quel conflitto asimmetrico la strage di civili, iniziata con il massacro degli abitanti dei villaggi israeliani aggrediti da Hamas il 7 ottobre scorso (1200morti, 3.300 feriti, 150 ostaggi oltre a stupri e altre violenze) e proseguita sino ad oggi con la reazione israeliana, ha raggiunto dimensioni inaudite, con un numero di vittime tra i gazawi di oltre 33.000 persone al 95% civili e per oltre 1/3 minori. Ma anche in una guerra tradizionale fra Stati, come quella innescata due anni fa dall’invasione russa dell’Ucraina, i civili pagano un prezzo esorbitante (oltre 10.000 caduti solo tra i cittadini ucraini).
Nel 75° anniversario dell’adesione italiana alla IV Convenzione di Ginevra per la tutela delle vittime civili di guerra, Archivio Disarmo e il Dipartimento di scienze sociali ed economiche dell’Università di Roma la Sapienza hanno organizzato il convegno “Vittime civili e inciviltà delle guerre”. Come ha osservato il presidente di Archivio Disarmo, Fabrizio Battistelli, nelle “nuove” guerre la proporzione dei caduti civili rispetto ai militari è cresciuta dal 41% del totale della Prima guerra mondiale al 53% della Seconda:«E questa quota non accenna a diminuire. Sembra anzi che dalle «perdite collaterali» si sia passati a una strategia di intenzionale aggressione ai civili inermi, in particolare donne e bambini, considerati un obiettivo “sensibile” del nemico».
La vulnerabilità delle donne
Sulla vulnerabilità delle donne (primo dei bersagli scelti da Hamas nella strage del 7 ottobre) ha richiamato l’attenzione la ricercatrice dell’università di Milano Bicocca, Daniela Belliti, secondo la quale in tutti i conflitti il corpo femminile è sistematicamente attaccato «come segno di conquista, umiliazione e sottomissione dell’altro».
Sui possibili scenari di argine alla violenza distruttrice della guerra è intervenuto Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto dell’Università Roma Tre, noto a livello internazionale per i suoi studi sulla necessità di una “Costituzione della Terra”. «Un’effettiva tutela della sicurezza delle popolazioni – afferma Ferrajoli – può essere perseguita soltanto in un quadro di “radicale messa al bando delle armi” e di instaurazione dei vincoli che, oggi proclamati dalle Costituzioni dei singoli paesi, possono diventare effettivi unicamente se condivisi a livello universale».
Le drammatiche condizioni dei civili nei teatri di guerra
Passando alle testimonianze sulle drammatiche condizioni dei civili nei teatri di guerra, la situazione di Gaza è stata descritta da una persona che ne conosce bene tutti gli aspetti: Francesca Albanese, Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Secondo Albanese «Il recente attacco israeliano in risposta alla strage di Hamas del 7 ottobre coinvolge pesantemente la popolazione palestinese di Gaza. Solleva questioni critiche sul valore del diritto internazionale e stimola un dibattito globale. Per alcuni questa crisi simboleggia il definitivo fallimento del sistema multilaterale, per altri rappresenta l’opportunità di rafforzare il sistema internazionale al fine di garantire la reale protezione dei diritti umani. La guerra in corso a Gaza risveglia una coscienza globale e pone le basi per un dialogo rinnovato su come affrontare le sfide dell’inciviltà della guerra e sostenere le vittime civili».
Non meno drammatica la situazione relativa alla guerra russo-ucraina, testimoniata questa volta sulla base dell’esperienza di una ONG italiana, la Comunità papa Giovanni XXIII, che con l’Operazione Colomba è in prima linea nell’assistenza umanitaria alla popolazione ucraina. «La conoscenza delle tragedie belliche assicurata dai giornalisti e dai ricercatori è senza dubbio importante ma – ha osservato Alberto Capannini – una alternativa alla guerra, in un momento in cui la guerra sembra un destino inevitabile, deve nascere da chi la conosce per viverla al fronte, sulla propria pelle».
Parlare dei lutti
La necessità che a parlare dei lutti imposti dalle armi siano in prima persona coloro che ne sono vittime è sottolineata anche da Alidad Shiri, profugo in fuga dall’Afghanistan devastato dalla guerra. Arrivato in Italia quattordicenne dopo un viaggio durato due anni, dice Shiri che ora ne ha 32: «Divisioni religiose ed etniche, corruzione, fondamentalismo religioso e maschilismo, ma anche e soprattutto il condizionamento delle grandi potenze, danno vita a disastrosi conflitti, a loro volta causa di ferite interiori difficilmente cancellabili».
In un momento in cui ricercatori e studenti vengono accusati di drammatizzare i conflitti in atto nel mondo, il Convegno di Archivio Disarmo e Sapienza ha un preciso obiettivo: richiamare l’attenzione, sia dei giovani cittadini sia della politica sugli impegni che nel 1949, con l’adesione alla IV Convenzione di Ginevra, l’Italia ha assunto di fronte alla comunità internazionale per garantire alle popolazioni civili in guerra i diritti umani e la sicurezza.